Intervista a Emilio Cozzi

Giornalista e autore, Emilio Cozzi è nato e cresciuto in Italia. Dopo il debutto come critico cinematografico –  argomento cui nel 2005 ha dedicato il libro “Ti racconto un film” (Raffaello Cortina Editore) – dal 2007 al 2016 è stato vicedirettore di Zero, il più importante free press magazine di intrattenimento culturale in Italia.

Scrive regolarmente per La Gazzetta dello Sport, Wired Italia, Forbes Italia, Il Corriere della sera e Il Sole 24 Ore, testate per cui si occupa di cultura digitale, critica videoludica, E-sport e divulgazione aerospaziale. È columnist di Red Bull Games e co-direttore editoriale di Game Culture, collana accademica edita da Unicopli.

È content designer di Simmetrico Network.

Miglior giornalista italiano” agli Italian E-sports Award 2017, ha tenuto un TEDx Talk nel marzo 2017 intitolato “Giocare davvero“.

ALESSANDRO BROGLIA
Benvenuto Emilio, grazie per essere qui con noi. Iniziamo subito con una domanda personale: chi è Emilio secondo Emilio?

EMILIO COZZI
Partiamo subito con le domande difficili insomma! Emilio secondo Emilio è una persona che cerca di trasmettere le proprie passioni in quello che fa, nel proprio lavoro che consiste nello scrivere, nel raccontare storie. Qualcosa di cui l’uomo ha sempre bisogno; mi auguro di riuscire in questo.

ALESSANDRO BROGLIA
Io sono rimasto ipnotizzato dai tuoi interventi!
Ma passiamo subito ai videogames: ti ricordi come é nata la tua passione? E chi metteresti sul podio dei tuoi titoli preferiti?

EMILIO COZZI
Mi ricordo come è nata ma non ho vissuto la prima era in quanto troppo piccolo, ma quella appena successiva ovviamente si. Mi ricordo quando i miei cugini e i vicini di casa hanno ricevuto il primo Commodore 64 e anche io ho cominciato a dilettarmi nelle prime programmazioni sul MSX TOSHIBA.

I primi videogiochi li ho visti in campeggio a Jesolo, in vacanza proprio con i miei cugini. Eravamo talmente rapiti che andavamo a casa a disegnare su carta i videogiochi a cui avremmo voluto giocare!

Sul podio, per una questione quasi soltanto affettiva, metterei in testa a tutti Elite, sia la prima versione anni ’80 che quella più moderna (Elite: Dangerous), perché dà la possibilità di esprimere il desiderio di essere un pilota spaziale.

Poi metterei il Dragon Slayer che fu una rivoluzione ai tempi, in quanto semplice, perché bastava soltanto fare la mossa giusta al momento giusto, ma era una goduria per gli occhi. Adesso siamo abituati ad avere una realtà nelle ambientazioni totalmente diversa rispetto a un tempo, dove noi eravamo abituati a giocare con dei quadratini che inseguivano altri quadratini, quindi avere un cartone animato sotto il proprio controllo era una sensazione pazzesca!
Al terzo posto metto la trilogia, perché il quarto è separato, di Mass Effect, che dal punto di vista della complessità dell’universo narrativo è eccezionale ed emozionante. A pari merito metterei Inside, più nuovo, che per la sua totale semplicità in realtà dice tantissimo del videogioco e di come percepiamo da utenti il videogioco. Perdonatemi la scelta di quattro titoli anziché soltanto tre!

ALESSANDRO BROGLIA
Ha più volte definito i videogame come i parassiti del cinema nel momento in cui il fenomeno cominciò a prendere piede. Potresti spiegarti meglio?

EMILIO COZZI
Direi che si tratta quasi di un dato di fatto da quando l’industria dei videogame, con Atari, per farsi conoscere da più gente possibile intravide nel cinema il mezzo per arrivare a una più grande fetta di pubblico. Non è un caso che Atari, senza averne la licenza, fece il videogioco de Lo Squalo, appena uscito sul mercato del cinema. Da lì in poi il cinema ha vissuto questo rapporto parassitario, mentre adesso il rapporto si è praticamente invertito, ovvero é facile vedere personaggi di videogame su cui vengono basati dei film, più o meno riusciti. Direi meno riusciti che più, ma questo dimostra che probabilmente il videogioco é diventato più importante del cinema ed è molto indicativo. Adesso è normale che Angelina Jolie interpreti Lara Croft, mentre quindici anni fa era impensabile!

ALESSANDRO BROGLIA
Certo…i dati parlano chiaro: il fatturato dell’industria videogame produce più di cinema e musica messi insieme. Un dato sconcertante!

EMILIO COZZI
Non penso sia così tanto sorprendente, perché i videogame hanno superato il cinema nel fatturato da molti anni, anche se nell’ultimo periodo la somma di cinema e musica arriva più o meno a pari punti con i videogame. Questo ci racconta che il videogioco è, meglio di altri, la fotografia del periodo in cui siamo: nasce digitale, in un periodo in cui il digitale lo troviamo dappertutto. Nessuno gira senza cellulare, siamo tutti abituati a fare qualsiasi tipo di operazione senza tirare fuori i soldi. Il digitale è l’alfabeto degli ultimi dieci anni e trova nel videogioco la sua espressione deputata.

ALESSANDRO BROGLIA
Tornando a prima: non sono più le case produttrici di videogiochi a prendere spunto dai film, ma oramai accade il contrario. Se dovessi vedere riprodotto un videogame sul grande schermo, quale sceglieresti?

EMILIO COZZI
A me piacerebbe Inside a questo punto, perché uno dei suoi incredibili pregi è il non raccontare affatto cosa c’è dietro. Noi possiamo solo immaginare perché non sappiamo nulla del protagonista; possiamo solo intuire che vive in un mondo distopico in cui una parte di popolazione vive in schiavitù; possiamo vedere il finale tragico (dal mio punto di vista), in cui alla fine anche il videogiocatore é uno schiavo perché segue soltanto i movimenti che la casa produttrice gli permette di fare. Sapere cosa c’è dietro mi attrae, ma al contempo intravedo un difetto tipico del cinema contemporaneo che è quello di spiegare troppo. Il mito classico non dice nulla della propria origine; “in medias res”, dicevano i classici. Bisogna essere proiettati al centro della storia senza conoscerne l’inizio; il resto lo devi immaginare. La forza nel mito è nell’immaginazione delle cose che non sappiamo. Purtroppo il cinema recente non fa altro che didascalizzare quel che prima ci faceva immaginare; su tutti Guerre Stellari. Facendo così, purtroppo, il mito si demistifica, perde potenza. Sapere che la forza in un certo senso deriva dai Midi-Chlorian è un dettaglio che non volevo sapere. Non è un caso che nell’ultimo Star Wars è stato fatto un passo indietro in cui viene ricordato che a seconda delle proprie scelte tutti possono diventare Jedi, basta volerlo. Siamo tornati indietro.

In fin dei conti, probabilmente non mi piacerebbe nemmeno sapere di più su Inside.

ALESSANDRO BROGLIA
Tornando indietro di sessant’anni, alla nascita del primo videogioco. Lo hai definito “il fratellastro della bomba atomica”. Puoi spiegare il perché?

EMILIO COZZI
Perché lo é quasi anagraficamente. Innanzitutto il primo videogioco non é stato concepito per essere tale, parlo di Tennis for Two del 1958. Il fisico William Higinbotham, modificando l’oscilloscopio, inventa il “nonno dei videogiochi”.

Lo considero quindi fratellastro della bomba atomica semplicemente perché William Higinbotham ha costruito il timer della bomba atomica: il papà del primo videogioco è il papà del timer della bomba atomica, nonché finanziato dall’esercito. Non penso quindi che la mia affermazione sia forzata, anzi aggiungo che il primo videogioco è stato praticamente partorito dall’esercito americano.

ALESSANDRO BROGLIA
Secondo te sarà possibile spiegare alle vecchie generazioni l’importanza che stanno assumendo i videogame? Per dire, parlando con molte persone del settore, ho compreso le difficoltà nel far capire agli altri,soprattutto alla propria famiglia, il ruolo che i vari Manager e in generale gli addetti ai lavori hanno in questo nuovo mondo. Ci può essere un modo per accelerare questo processo di comprensione o bisogna aspettare il corso degli eventi?

EMILIO COZZI
Credo sia più naturale aspettare il corso degli eventi, e non è nemmeno detto sia utile spiegarlo alle vecchie generazioni che si nutrivano di altre passioni, di motori narrativi diversi, di un altro immaginario.

Così come quando è arrivato il cinema: le persone abituate ad andare a teatro lo consideravano una perdita di tempo, mentre invece il teatro era per intellettuali. Dobbiamo rassegnarci al fatto che per tante generazioni che non sono cresciute col fenomeno dei videogames, questo rimanga una “stupidaggine” o una perdita di tempo. Si fatica a comprenderne l’importanza.

È molto più importante spiegare alle generazioni attuali quel che c’è dietro un videogioco, perché è così potente che va conosciuto nel dettaglio per conoscerne le criticità e le potenzialità.

ALESSANDRO BROGLIA
In sessant’anni la crescita del fenomeno videogames é stata incredibile. Quali sono i punti fondamentali che hanno permesso a questo settore di diventare quel che è oggi?

EMILIO COZZI
Intanto la nascita dell’industria dei videogiochi, con Nolan Bushnell che ha compreso le potenzialità commerciali di qualcosa che prima era solo un esperimento accademico, come nel caso di Higinbotham. Con Bushnell il videogioco é diventato intrattenimento, un’industria che fattura.
La seconda fase è riconducibile alla Playstation, che ha trasformato una passione di nicchia in una passione di massa, tanto che negli anni 90 chi non era dentro il settore confondeva la domanda “ti piacciono i videogiochi?” con “ti piace la Playstation?”, come se quest’ultima rappresentasse il settore intero, come se giocare alla Playstation significasse videogiocare.

Dopo questo passaggio, direi che Nintendo é tornata alla grande con Wii, modificando l’interazione col videogioco e aprendo il mercato video-ludico (prettamente maschile) anche alle donne e al casual gamer. Uno dei problemi principe dei videogiochi è la difficoltà di usarne l’interfaccia di controllo: se io, per esempio, lascio in mano il controller a una persona che appartiene alla vecchia generazione (mio padre o mio nonno), con una trentina di combinazioni tra levette, tasti e analogici, questi non riesce a usarlo perché troppo complicato. Wii ha reso estremamente semplice l’interazione.

L’ultimo passaggio è quello del cellulare: oggi il cellulare ha definitivamente aperto il mercato, perché si può giocare sempre, cinque minuti o trenta secondi, anche in fermata aspettando il bus.

Non escludo che un domani la realtà aumentata o la realtà mista diventeranno parte del reale. Non che adesso non lo siano, e l’eSport è la dimostrazione, ma non escludo che un domani noi giocheremo nella realtà con delle interfacce grafiche proiettate su quel che ci circonda.

ALESSANDRO BROGLIA
Hai nominato gli eSports e allora mi butto con una domanda simpatica: usando un massimo di cinque parole, come definiresti questo mondo?

EMILIO COZZI
Difficile questa, magari con sei o sette parole (ride ndr). L’eSport é la pratica agonista e anche professionistica (o professionale) del videogioco.

ALESSANDRO BROGLIA
I videogame influenzano in maniera positiva o negativa gli “utenti comuni” (i non pro-players)?

EMILIO COZZI
C’è da capire che sarà obbligatorio fare il passaggio culturale. Come qualsiasi altro media, il videogioco influenza chi lo usa, e per questo va compreso alla luce del fatto che oggi il videogioco é estremamente diffuso quanto la letteratura, quanto il cinema, quanto la musica.

La letteratura ha un’influenza positiva e negativa? Dipende dal lettore. Se un pazzo maniaco legge de Sade, pensa che questi gli stia suggerendo di sfogare le proprie pulsioni contro la società; se io leggo de Sade ci colgo un risvolto socio-politico diverso e la sua letteratura mi piace per vari motivi. Ma questo non dipende da de Sade, ma dipende dai miei strumenti critici o dalla mia vita.

Se io e te vediamo lo stesso film, di sicuro proviamo emozioni diverse e ci piacciono dei punti diversi; la nostra storia personale ci permette di entrare in sintonia con il film in maniera diversa. Questo serve per il videogioco: il videogioco può fare sia bene che male, e data la sua diffusione bisogna avere gli strumenti critici ideali per comprenderne gli aspetti positivi e quelli negativi. È una questione culturale, non del videogioco in sé. Mi auguro che l’approccio al videogioco sia fatto in maniera sempre più consapevole. Se io sono un grande sportivo ma corro centocinquanta chilometri senza bere acqua, muoio. La maratona fa male? No, ma può fare male se la affronto senza gli strumenti adatti.

ALESSANDRO BROGLIA
Esempio perfetto. Passiamo ai pro-players: quale sarà il loro futuro? Si potrebbe raggiungere la fama dell’atleta a cui siamo abituati al giorno d’oggi?

EMILIO COZZI
Di sicuro sí. Al momento si discute molto per capire se l’eSport sia un vero sport o meno, ma non mi interessa perché credo semplicemente che l’eSport sarà un’evoluzione successiva dello sport normale, espandendo la disciplina competitiva come la intendiamo comunemente in un nuovo universo con connotati diversi. Questo vuol dire che di sicuro sempre più spesso avremo e-atleti professionali che si arricchiranno grazie a talento, sacrificio e passione, e che gioveranno di del riconoscimento che oggi tributiamo ai grandi atleti del calcio e della pallacanestro. Mi sembra uno sviluppo logico. Ahimé, o per fortuna, quando un settore o una disciplina genera un mercato miliardario è evidente che i protagonisti ne giovino.

ALESSANDRO BROGLIA
In Italia siamo in ritardo di una ventina d’anni, ma qualcosa sembra stia nascendo. Cosa manca a livello nazionale per fare il salto di qualità e come pensi che le aziende possano avvicinarsi a questo mondo?

EMILIO COZZI
Credo che sia un’impressione, non ho statistiche o dati alla mano, ma credo che sia ancora una questione culturale in quanto l’Italia ha un’identità forte (nel bene e nel male). Gli italiani faticosamente sono stati convinti e sedotti da McDonald’s e simili. L’eSport, nonostante sia guidato da chi ha l’interesse a guadagnarci, parte dal basso, quindi non si tratta di un’imposizione. Ci vorranno anni e tempo, ma trattandosi di una passione condivisa penso che entrerà a far parte della nostra cultura.

Un altro problema sono le infrastrutture. Ci sono zone in cui è impossibile giocare per mancanza di infrastrutture tecnologiche. Io abito a Milano, un mio amico abita a cinque chilometri da me e non può giocare a COD perché vede gli avversari cinque secondi dopo e deve per forza smettere di giocare per colpa del lag.

ALESSANDRO BROGLIA
Noi questo problema lo ritroviamo con FIFA, naturalmente per un problema di trasmettitori. Questo permette a paesi come la Germania (dove FIFA ha i principali server europei ndr) di avere un grande vantaggio sui giocatori di altri paesi.

EMILIO COZZI
Esatto. Mi auguro che fra cinque o dieci anni verremo messi al pari degli altri. Rimarrà quindi la questione culturale, per far capire a tutti che videogiocare non è solo una perdita di tempo, come non è una “cosa bellissima”. Diciamo che il videogioco è anche un’ottima cosa su cui investire e bisogna che questo diventi normale. Già soltanto perché dobbiamo spiegarla, ancora non è chiaro a tutti. Spero che in futuro una famiglia possa essere contenta di avere un figlio che abbia un naturale talento per un videogioco, come ora lo possa essere per chi gioca a tennis o a pallone.

ALESSANDRO BROGLIA
Ci sará una piattaforma che prevarrà sulle altre? Prevedi che assisteremo a un’unificazione della piattaforme per permettere a tutti di giocare insieme? A quanto pare la EA sta cercando di arrivare a questo obiettivo per FIFA, materia che come sempre ci riguarda.

EMILIO COZZI
Credo che un giorno arriveremo tutti a giocare su una piattaforma, e questa sará la rete. Tutti giocheremo online, “nel cloud” e quindi non serviranno più hardware per giocare a questo o a quel gioco. Finché l’industria sosterrà questa “guerra tra case” il mercato rimarrà in piedi, ma è già evidente che certi hardware abbiano poco tempo. Fra cinque, dieci o vent’anni giocheremo tutti in rete senza necessità di avere una console, magari ci potremo connettere usando direttamente e soltanto il televisore.

ALESSANDRO BROGLIA
A proposito di FIFA, cosa ne pensi?

EMILIO COZZI
Ho un pensiero preciso su FIFA: mi fa apprezzare il pallone. Non sono un amante del calcio e adesso i tuoi fan mi odieranno (ride ndr). Lo guardo raramente e soltanto per eventi importanti come i Mondiali, ma ogni volta capisco il motivo per cui non mi piace: perché ha determinati difetti (senza entrare nello specifico). In FIFA io non vedo quei difetti: la partita dura meno senza tempi morti, l’arbitro non é condizionato e non ruba e via discorrendo. Con FIFA mi godo virtualmente quello che vorrei vedere in una partita di calcio non virtuale. È un paradosso, ma questo elimina quel che non mi piace dello sport. Per me FIFA è meglio del calcio vero.

ALESSANDRO BROGLIA
Si parla di una e-SerieA. Dalle parole degli esperti, potrebbe addirittura iniziare a Novembre o Gennaio con squadre di club in modo tale da avvicinare i tifosi di squadre come il Parma, la Roma, la Samp etc.

Potrebbe essere la giusta scintilla per l’Italia?

EMILIO COZZI
Direi proprio di si. Non so se per accendere la passione per gli eSports, ma di sicuro per farli conoscere a più gente proprio perché il calcio è vissuto come una seconda religione, in Italia. Sicuramente il calcio é un veicolo potentissimo per far conoscere gli eSports, ma non sono sicuro che a un fan del calcio che gioca a FIFA si apriranno le porte ad altri eSports come LOL.

Non so se il campionato virtuale sia prossimo, ma se dovesse partire sarebbe molto importante.

ALESSANDRO BROGLIA
Passiamo a Fortnite. Quasi un milione e mezzo di persone online per seguire l’evento di Las Vegas, numeri pazzeschi. Cosa ne pensi? Io sono rimasto davvero colpito,ricordo che quando eravamo piccolini c’era la fila per giocare a Metal Slug o allo Street Fighter di turno e non vedevo l’ora che quelli davanti a me finissero per poter giocare, mentre ora ci si collega per vedere altri giocare… mi chiedo: c’è ancora da stupirsi?

EMILIO COZZI
Fortnite ha superato i 300 milioni di dollari in microtransazioni in game, quindi i numeri mi sorprendono sempre meno, come mi sorprenderá poco che fra sei mesi o un anno uscirà un nuovo Fortnite. Abbiamo visto i fenomeni World of Warcraft, League of Legends, StarCraft, PUBG e pochi mesi dopo Fortnite trova una formula che funziona benissimo e migliora di fatto PUBG mettendoci dentro un po’ di Minecraft.

La novità é anche un’altra: é stato messo insieme un “cast” in cui videogiocatori professionisti di Fortnite giocavano contro “star” di altre categorie, come Paul George o attori e cantanti. Questa é una novità che dice una cosa importante: fra cinque anni sarà scontato o normale vedere il futuro Brad Pitt farsi una partita col migliore giocatore del gioco del momento perché “fa figo”, basti pensare a Drake che gioca ai videogame. Trent’anni fa sapere che Madonna giocava a SuperMario sarebbe stato incredibile, mentre adesso inizia già entrare nella norma.

Un altro dei segreti importanti di questo tipo di giochi é l’aspetto “free-to-play” e il poco peso del gioco, che permette accessibilità davvero a tutti.

ALESSANDRO BROGLIA
Torniamo a FIFA e agli eSports in Italia. Pensi sia possibile una partecipazione futura ai giochi Olimpici e alla nascita di team eSports Nazionali?

EMILIO COZZI
Penso di si, anzi ne sono abbastanza sicuro, ma non è detto che siano le Olimpiadi a cui siamo abituati noi. Saranno delle “Olimpiadi del Videogioco”, magari con lo stesso marchio e gli stessi onori del caso, ma senza mescolarle ai giochi olimpici tradizionali.

C’è un’altra premessa da fare: bisognerà capire le modalità per arrivare a questo obiettivo e soprattutto capire se chi oggi domina il mercato ha interesse a farlo, perché non è mica detto. Si parla di Olimpiadi come se il videogioco ambisse a diventare disciplina olimpica. In realtà è proprio il contrario: sono le Olimpiadi che vorrebbero annettere i videogiochi al proprio interno, per una questione prettamente economica.

Sicuramente ci sono delle identità tra gli sport tradizionali e gli eSports. Mi riferisco a concentrazione, dedizione, allenamento, talento, passione. Manca la parte atletica (non del tutto), ma è un aspetto che rivela potenzialità ulteriori per gli eSports, perché magari chi ha dei problemi di mobilità può competere ad armi pari con chi non ne ha e arrivare sul tetto del mondo. Per questo parlo di eSports come evoluzione dello sport.

ALESSANDRO BROGLIA
Per concludere: in Germania l’11 giugno si é tenuto un incontro tra varie istituzioni per riconoscere l’eSport come sport tradizionale, mentre in Francia, a Lione, é nata la prima Università Europea del Gaming, rivolta sia a futuri pro-players, sia a futuri Manager e Talent Scout.

Cosa sta realmente accadendo in Italia e con che iniziative partiresti per alimentare il mercato e la passione?

EMILIO COZZI
Rispondo in maniera provocatoria: come sempre l’Italia si divide in piccoli comuni, e ciò permette a ognuno di fare il proprio gioco pensando di spuntarla sugli avversari, quando invece sarebbe meglio capire se e come lavorare tutti insieme.

Forse converrebbe tentare di incassare meno adesso per incassare più tutti tra qualche anno. Risulterò qualunquista o provinciale, ma non penso che questa caratteristica appartenga all’Italia. Quando vedo che si litiga “tra quartierini” un po’ mi deprimo. Finché ci sarà una mentalità frammentata non si farà alcun passo avanti, a meno che una realtà non si imponga sulle altre. Se questo non avviene, bisognerà allearsi tutti insieme. È utopia, ma penso sia l’unica possibilità per svilupparsi al meglio.

Se non altro, si parla sempre di più di eSports. Fino a due/tre anni eravamo in cento a parlarne, ora siamo in diecimila e questo è un buon segnale. Spero questo corrisponda a un sistema solido e a generare un mercato sempre più grande, come sta accadendo all’estero. Non so dirti quando, ma di sicuro ci sono delle buone sensazioni; basta guardare le testate nazionali che ne parlano sempre più.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci qui il tuo commento!
Nome